Giuliano Sangiorgi: "Il patriarcato? Tanti diritti minacciati, ma cresco mia figlia in direzione opposta" I Negramaro tornano con un nuovo album, "Free love", in cui duettano (anche) con Fabri Fibra e che è un manifesto politico. "Amore e libertà sono la chiave, ma sembra di essere tornati al medioevo. Il rap? Un linguaggio che ci affascina", spiega il frontman -- Giuliano Sangiorgi: "Il patriarcato? Tanti diritti minacciati, ma cresco mia figlia in direzione opposta" - GOSSIP & NEWS TV

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24 novembre 2024

Giuliano Sangiorgi: "Il patriarcato? Tanti diritti minacciati, ma cresco mia figlia in direzione opposta" I Negramaro tornano con un nuovo album, "Free love", in cui duettano (anche) con Fabri Fibra e che è un manifesto politico. "Amore e libertà sono la chiave, ma sembra di essere tornati al medioevo. Il rap? Un linguaggio che ci affascina", spiega il frontman -- Giuliano Sangiorgi: "Il patriarcato? Tanti diritti minacciati, ma cresco mia figlia in direzione opposta"

 

Avviso ai naviganti: i Negramaro stanno bene. “La vera vittoria è essere qui, dopo 25 anni, a parlarne ancora”, riflette Giuliano Sangiorgi, frontman della band salentina che negli anni ha partecipato due volte a Sanremo – la prima nel 2005 con Mentre tutto scorre, tra i giovani, l’ultima a febbraio con Ricominciamo tutto tra i big – e riempito stadi, compreso San Siro, e palasport, sempre tenendosi con un piede nel pop e con un altro nel rock internazionale. Ora rilanciano con un disco, Free love, dove duettano con, tra gli altri, Jovanotti, Tiziano Ferro, Fabri Fibra e Jj Julius Son, ma che è anche un manifesto politico: "Quelle del titolo sono parole che fanno ancora paura, neanche fossimo nel medioevo”.

Amore e libertà. E amore libero. Eppure sono le più vecchie del mondo, no?

Soprattutto, sono concetti che pensavamo di avere dato per assodati. E invece ci ritroviamo a inseguirli. Poi, di amore libero, che è il vero significato del titolo, si parlava addirittura già dagli anni sessanta. La verità, credo, è che la storia procede per costruzione e distruzione. Tante conquiste, in termini di diritti, vengono messe in discussione, e mi spiace. Ma anche tante convinzioni secolari stanno vacillando, davanti alle nuove generazioni. E finalmente”.

Come il patriarcato.

A me dispiace che sia ancora, semplicemente, un tema. Con la mia compagna cresciamo nostra figlia fuori da tutto questo, ma purtroppo il mondo va anche nella direzione opposta”.

Che rapporto ha con il futuro?

Contraddittorio. Trovo miracoloso che l’uomo abbia inventato i robot, l’intelligenza artificiale e il resto. Mi spiace vedere come vengono usati, potrebbero essere grandi soluzioni, che so, per la medicina, e invece tolgono il lavoro ai poveri. Mi spiace, allo stesso modo, che un Elon Musk si metta a fare certa propaganda, piuttosto che filantropia. Il rischio, per il futuro, è che i ricchi avranno i robot in casa e i poveri niente, neanche un lavoro”.

Come artista, l’intelligenza artificiale la spaventa?

Non troppo, in realtà. Con Lorenzo Jovanotti, durante una diretta, abbiamo fatto una prova: le abbiamo chiesto di scrivere un pezzo come i nostri duetti, Cade la pioggia e Safari. Il risultato era simile, ma non ci apparteneva. Il background culturale, prima che l’anima in sé, non può essere trasferito in una macchina: è ciò che rende ogni autore e ogni tradizione letteraria unica".

Costruire e distruggere, comunque, è la sua filosofia artistica?

Con i Negramaro sì. Da solo, come autore per altri, non mi sono mai posto il problema: ho scritto per tanti, è sempre un onore, ma lì il pensiero è uscirmene con una canzone bella e fine. Con il gruppo è diverso: ci siamo dati la prerogativa di non ripeterci, il che significa che il percorso diventa sempre più stretto; al contempo, però, è gratificante. E poi, se esclude il mio timbro di voce, in ogni nostro album c’è stata un’evoluzione”.

Che significa, allora, far parte di una band?

Per me, tutto. Le confesso: è una condizione che, oggi come oggi, mi godo. Sono fiero di essere un sesto dei Negramaro. Fino a pochi anni fa i giornalisti non mi chiedevano altro che un disco solista. Quel disco non è mai arrivato, le crisi d’identità artistiche sono state un trampolino per ripartire e va bene così. Ciò che i Negramaro fanno, tutti insieme, è di più di ciò che potrebbe fare Sangiorgi da solo".

E cos’è?

Una storia, un senso di comunità. I fan si sono affezionati a questo. Siamo il meridione che ce la fa, che ce l’ha fatta. Guardi che 25 anni fa, quando abbiamo cominciato, in Salento non c’era niente… a parte la cultura. L’università di Lecce era il nostro social network, suonavamo nei locali, ovunque potevamo. I gestori ci hanno aiutato, rispetto a quelli del nord, che puntavano sulle cover band, davano spazio a noi e ad altri che suonavano brani propri, inediti. Ma le strutture e le opportunità erano pochissime”.

Ma è stato difficile emergere?

Lo sarebbe di più oggi, perché la concorrenza è troppa. Fu fondamentale un contatto umano: Pupillo (un membro della band, nda) era a Milano per una piccola sonorizzazione di moda, venne avvicinato da Carlo Antonelli, all’epoca direttore artistico di Sugar, l’etichetta di Caterina Caselli, e ricevette il provino dei Negramaro. Il giorno dopo Caterina ci telefonò”.

Da lì a qualche anno, ci fu il primo Sanremo, con Mentre tutto scorre. Era il 2005.“Decidemmo insieme a Caselli di portare quel pezzo. Era audace, un pezzo rock, non adatto a quel palco. Ci sarebbe stato utile portare solo 3 min, ma non l’avremmo mai fatto: ci saremmo condannati a vita a fare quel brano a ripetizione, mentre così abbiamo dato subito l’impressione di essere un gruppo rock e libero. Poi la canzone, ovviamente, fu rigettata dal Festival, che ci eliminò. Ma prese il volo in radio e da lì cominciò tutto”.

All’epoca, dall’altra parte della barricata, c’era Fabri Fibra con Tradimento. Rap e pop-rock sembravano mondi che non potevano comunicare. Invece oggi Fabri Fibra è in un vostro nuovo pezzo, Fino al giorno nuovo. Cos’è successo?

Il primo 45 giri che ho comprato, a otto anni, era dei Public Enemy. Si figuri, sono cresciuto con il rap, lo adoro. E in Mentre tutto scorre ci sono momenti rap, come in altri nostri pezzi. Tuttora l’hip hop mi piace, è una musica democratica, che chiunque può fare, anche con pochi mezzi. La trap, poi, ha lo stesso gusto per la melodia che abbiamo noi. A volte i testi sono deboli, mi annoia leggere ogni 3x2 di ‘bitch’ o di ‘Lambo’, perché sono cose superate. Ma un Kid Yugi, per esempio, mi esalta. E poi i toni si sono ammorbiti, rap e pop ormai si sono venuti incontro”.

E Fabri Fibra?

Ci seguiamo da più di dieci anni, da quando disse di voler collaborare con noi. Porte aperte, si figuri. Nel frattempo avevamo portato con noi, negli stadi, Marracash, nel 2013. Siamo sempre stati ricettivi. Ma la nostra collaborazione ha richiesto tempo, come le tante altre del disco. Le cose vanno fatte al momento giusto, anche se magari così si perde qualche numero”.

Con i numeri, ecco, che rapporto avete?

Nessuno, anche perché sennò si va in burnout dopo un anno. La nostra ambizione era suonare e lo è ancora. Ci leggevano i resoconti, all’epoca, in cui ci dicevano che avevamo venduto non so quante mila copie in un week end: non ci capivamo niente e tuttora facciamo fatica. La stima e il rispetto, quelle sì, ci hanno sempre onorato".

Quelle le ha avute, con vari premi, anche Ricominciamo tutto. Che Sanremo è stato, l’ultimo, rispetto al 2005?

Personalmente non volevo tornare, è stato Amadeus a convincerci, sentendo la canzone si era commosso. Per noi, comunque, ha rappresentato un’altra partenza: la platea si è allargata, per certi versi è stato come tornare al 2005, quando eravamo degli sconosciuti, perché di fatto all’ascolto c’erano anche persone che, stavolta, non ci conoscevano. Ma ci ha dato nuovi orizzonti e ne siamo felici: traiamo il buono da ogni esperienza".

Quel palco ha lanciato i Måneskin nel mondo. Voi, che vi siete sempre ispirati anche al rock dei Radiohead e dei Muse, ci avete mai pensato?

Pensi, da poco ho avuto l’onore di diventare amico di Thom Yorke, che è venuto a cena a casa mia. Per me quel mondo lì è, semplicemente, un enorme riferimento. E sono tanto contento per i Måneskin, il cui successo, in minima parte, sento che almeno in Italia sia anche merito di Mentre tutto scorre, che al netto delle sue crisi di rigetto vent’anni fa ha aperto le porte al genere a Sanremo. All’estero ci pensiamo, ma solo in ottica tour. Lo scorso anno siamo stati a suonare finalmente per l’Europa".

Com’è stato?

Un sogno. Mia figlia piccola ha potuto vedere Parigi, prima in un teatro, con suo padre che cantava, e il giorno dopo insieme a Disneyland. Aveva un anno quando c’è stata la pandemia, un evento che è stato uno shock per noi, s’immagini per lei che è cresciuta in una realtà distopica. Le prime volte che uscivamo aveva paura del suono delle macchine, perché non era abituata a sentirli. Ora cerco d’insegnarle che abbracciare le persone e condividere le cose con gli altri è la vera meraviglia".

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